“Le sofferenze familiari, come gli anelli di una catena, si ripetono di generazione in generazione
finché un discendente acquista consapevolezza
e trasforma la sua maledizione in una benedizione.”
A. Jodorowsky
Sembra essere stato proprio Jodorowsky a coniare per primo il termine di psicogenealogia, ma la questione della trasmissione psichica inconscia tra generazioni risale sin dagli studi di S. Freud, che parlando del –non-detto- (-das Unbewusste-, tradotto più comunemente come inconscio) descrive l’esperienza come una sorta di buco nero inter- (nell’intimità del Sè) e intra- (nel rapporto tra Sè e l’Altro) psichico, uno spazio di rappresentazioni non accessibili direttamente alla coscienza.
La vita è ritmata da eventi quotidiani apparentemente banali: le dimenticanze, i sogni, i lapsus, gli atti mancati, gli istinti. Che significato dare ai nostri comportamenti, persino alle nostre malattie, incidenti, nascite, morti, aborti, scelte lavorative?
Eventi che necessitanto di essere letti, compresi, integrati, interconnessi, liberati. Liberati dagli eventuali limiti del contesto relazionale che ci ha accolti, ma anche condizionati, facendoci indossare in-consciamente vesti non nostre.
Freud parlava di psiche collettiva che si tramanda di generazione in generazione, Jung parlava di inconscio collettivo ovvero di schemi di base universali, impersonali, innati, che si sono evoluti insieme con l’uomo, in seguito alle ripetute esperienze di innumerevoli generazioni.
Alla nascita non solo i genitori, ma l’intera famiglia è già stabilita. Da questa forma non ci si può separare, come un albero non può rinnegare le su radici. Chi prova a compiere un movimento di rifiuto, è destinato a naufragare, ad attraversare molte sofferenze.
Allora la vita sembra trovare un suo senso nel momento in cui si riesce ad applicarle un codice narrativo, la vita come se fosse un romanzo dotato di capitoli, ognuno dei quali richiede la sua attenzione, la sua esplicitazione. Un libro con dei capitoli mancanti, omessi, con eccessi di pagine bianche, strappate, è un libro il cui senso non è possibile comprendere.
In questa narrazione potremmo cogliere delle ripetizioni, come se la nostra vita ricalcasse le orme, i tranelli, gli inciampi di un genitore, di un antenato, di un figlio non nato.
Ciascuno di noi vive un mito e ciascuno di noi si riscatta, si risolve, si libera quando vede il mito che sta mettendo sulla scena della vita. Tra i miti familiari per esempio ci può essere la facciata del matrimonio dei genitori, che non ha mai convinto i figli; il suicidio della nonna, che è sempre stato chiamato “l’incidente”; l’alcolismo di mamma mimetizzato come qualcosa da nascondere; l’amica del cuore della figlia, che è poi la sua partner omosessuale; il figlio nato dopo un aborto o dopo la morte del fratello che l’ha preceduto, a cui non è stato detto nulla.
La Verità sprigiona il suo potere di energia laddove è manifesta. Ci vuole gradualità, rispetto dei propri sistemi difensivi, un adeguato contesto di supporto, per farla emergere. Può avvenire in un’epoca di vita, non in un’altra. Può restare una direzione, una visione in cui credere. Comunque sia, le va riconosciuta la sua forza ri-generatrice.
La psicogenaelogia, attraverso i suoi strumenti (psicodramma di Moreno, costellazioni familiari di Bert Hellinger, genogramma della psicogenealogia di A.A. Schutzenberger), accompagna la persona a contattare la propria autenticità nel sentire i propri desideri, svincolandosi dalla ragnatela dei condizionamenti familiari, e a nascere sempre più “figli di se stessi”.